20 marzo 2021
In un post precedente abbiamo visto come esercitare pressione sui bambini a mangiare contribuisce a renderli schizzinosi a tavola e può paradossalmente ridurre il consumo di cibi sani, come frutta e verdura. Questo comportamento si delinea, quindi, come non responsivo verso i bisogni dei bambini, offusca i loro segnali spontanei di fame e sazietà e provoca spiacevoli conseguenze, come un’eccessiva crescita nei primi anni di vita e il perdurare del rifiuto di determinati cibi anche in età successive.
Per analizzare in maggior dettaglio gli effetti della pressione a mangiare, Galloway e colleghi (2006) hanno presentato a bambini di età compresa tra 3 e 5 anni due tipi di zuppe, per un periodo di 11 settimane, in due condizioni: “pressione” e “senza pressione”. Nella condizione di “pressione”, la ricercatrice ripeteva ai bambini di finire la zuppa ogni minuto per l’intera durata del pasto, mentre nella condizione “senza pressione” la ricercatrice rimaneva in silenzio. È stato inoltre chiesto alle madri di compilare un questionario. I risultati di questo studio hanno mostrato che il consumo della zuppa è aumentato nel corso del tempo solo quando i bambini non sono stati spinti a finire il pasto e che i bambini che hanno mangiato di meno sono stati coloro che a casa erano sottoposti a un elevato livello di pressione a mangiare.
La relazione tra stile “pressante” del genitore e comportamento alimentare dei figli è circolare: infatti, molto spesso, l’insistenza dei genitori nasce dalla preoccupazione per il rifiuto o l’evitamento di alcuni cibi da parte dei figli, ottenendo, però, un effetto controproducente e rendendo ancora più difficoltosa l’accettazione del cibo. Questo aspetto è stato confermato anche dallo studio longitudinale di Jensen e colleghi (2017), che ha dimostrato come genitori e figli si influenzino reciprocamente durante i pasti. Questi autori suggeriscono che i genitori dovrebbero rinunciare a pressare i bambini a mangiare in favore di strategie alternative per aiutare i propri figli ad accettare e consumare i cibi proposti come, ad esempio, coinvolgerli nella preparazione dei pasti, mangiare insieme attivando il processo di imitazione ed esporli ripetutamente, ma non in maniera coercitiva, ad un’ampia diversità di cibi, assecondando la loro naturale capacità di autoregolazione.
Fonti: Galloway, A.T., Fiorito, L.M., Francis, L.A., Birch, L.L. (2006). ‘Finish your soup’: Counterproductive effects of pressuring children to eat on intake and affect. Appetite, 46, 318–323.
Jansen, P.W., de Barse, L.M., Jaddoe, V.W.V., Verhulst, F.C., Franco, O.H., Tiemeier, H. (2017). Bi-directional associations between child fussy eating and parents’ pressure to eat: Who influences whom?. Physiology & Behavior, 176, 101–106.
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